Ho iniziato ad interessarmi al caporalato quando ho lavorato alla mia tesi sul primo movimento migrante del 2011 nato nella masseria di Boncuri a Nardò, in Puglia. La tesi cercava di capire perché il movimento, sebbene fosse stato un successo – tanto da portare ad una legge contro il caporalato nel 2011 poi modificata nel 2016 – non ha ricevuto abbastanza attenzione mediatica o abbastanza spillover effect, ovvero una reazione a catena con la nascita di movimenti simili.
Quando si sta nell’accademia in ambito dei diritti umani è molto comune avere un approccio che io ora riconosco come neocolonialista, un po’ pietista, un po’ da salvatore bianco, quello che si chiama “white saviour industrial complex”, cioè il complesso della salvatrice, di dover andare in altri luoghi del mondo e aiutare a risolvere dei problemi. È un tipo di bias abbastanza facile da avere se si studiano queste materie, perché deriva da come ci vengono raccontate le cose.
Durante il periodo della tesi mi rendevo conto che il tema del caporalato veniva percepito con difficoltà, c’era pochissimo materiale, non c’era quasi niente in inglese nel 2018 e già questo creava un problema, era diventato molto complicato. Mi chiedevo “a cosa stai facendo da megafono se non hai materiale?”.
Quindi ho finito in tutta fretta questa tesi, anche perchè avevo perso la fiducia nell’accademia. Mi accorgevo che da un lato c’era il tempo dell’accademia e dall’altro il tempo dei movimenti che sappiamo essere molto diversi e già questo era abbastanza alienante per me. Per cui ho finito la tesi e sono partita.
Sono andata per un periodo in un insediamento informale, ovvero una baraccopoli nel foggiano, a Borgo Mezzanone, a 15 minuti da Foggia, che ai tempi ospitava circa 3000 persone, tutti migranti con uno status irregolare, che si trovava accanto ad un CARA (Centro di Accoglienza per Richiedenti Asilo e Rifugiati) .
A quel punto volevo posizionarmi politicamente e capire che tipo di ruolo io potessi avere rispetto a quello che avevo visto. Così ho lanciato una campagna di informazione e sensibilizzazione assieme ad altre persone, e abbiamo fatto anche una raccolta fondi. Era il luglio 2019 e abbiamo viaggiato per tutta l’Italia toccando le città più grandi per un mese. Da questa esperienza è nato il Collettivo Fango, che noi chiamiamo collettivo di scrittura ribelle e che nasce dall’urgenza di creare un archivio di tutto quello che concerne il caporalato e tutte le sue intersezioni, in 4 lingue europee. Inoltre facciamo formazione in giro per l’Italia. Con il collettivo si è creata una dimensione un po’ più corale attorno a questi temi.