Questa è una storia che inizia da un luogo qualunque, in una provincia italiana e che arriva in Silicon Valley. La storia di Chiara, Francesca, Alberto, Giorgio, e altri ragazzi e ragazze che come tanti altri della loro età frequentano scuole pubbliche, licei, istituti tecnici. Hanno 17 anni e vivono la loro routine.
Poi un giorno, quasi per caso, si ritrovano in una palestra, in un auditorium, in uno spazio della loro città insieme ad 80 altri coetanei con un obiettivo: quello di risolvere un problema che interessa la loro terra. Quella provincia italiana qualunque in cui sono nati, a cui, a volte non sentono neanche di appartenere, perché in realtà fanno parte di una generazione globale, con la sua velocità, le sue storie, le sue tendenze.
Poi in quella palestra, in quell’auditorium in quello spazio della loro città dove li abbiamo incontrati, si rendono conto di una cosa: “ci sono tante cose da fare per la mia terra e io ho la capacità di progettare delle soluzioni di senso che possono fare qualcosa per renderla un posto migliore”. E in quella breve finestra di due giorni dove ognuno è protagonista succede un’esperienza unica. Succede che si mettono in gruppo con persone che non hanno mai visto prima e, a partire da un problema a cui non hanno mai pensato, si inventano un progetto, lo costruiscono, gli danno valore e ci credono.
Poi si trovano a presentarlo su un palco a una platea di sconosciuti e succede che magari vincono e poi vincono anche una finale nazionale in cui si sono sfidati con gruppi di altre provincie qualunque di Italia.
E in quella finale, dal palco sanno che andranno in Silicon Valley a conoscere le realtà tecnologiche leader nel mondo.
E in quel momento i loro sogni sono già cambiati: hanno smesso di voler fare l’avvocato, il commercialista o il dottore, ma forse vogliono fare gli imprenditori. O forse saranno degli architetti per nuovi pianeti, dei costruttori di parti del corpo, degli agri-tecnologi. I più coraggiosi torneranno nella loro provincia qualunque di Italia per dare supporto ai loro territori con quello che hanno imparato.
Questi sono ragazzi e ragazze che in pochi mesi hanno cambiato la loro vita e tutti i loro riferimenti per il futuro. Ma anche se non hanno vinto la Silicon Valley e non li abbiamo più rivisti dopo quella giornata nella palestra, nell’auditorium, nello spazio della loro città, alla fine dell’hackathon qualcosa in loro era cambiato. Non solo si sono resi conto di essere in grado di progettare qualcosa per il proprio territorio ma anche scoperto di avere competenze che non pensavano di avere. Qualcuno si dimostra bravissimo nella ricerca, qualcuno scopre di essere particolarmente creativo, qualcun altro scopre di essere bravo/a a parlare in pubblico quando prima non l’aveva mai fatto. Altri capiscono come mettere a frutto tutte quelle ore a sperimentare con le righe di codice, con programmi di progettazione 3D o con strumenti di illustrazione digitale. I meno timidi alla fine dell’hackathon già si rendono conto di come l’esperienza li ha cambiati e ce lo vengono a dire di persona. Alcuni se ne accorgono dopo qualche giorno e ci scrivono un messaggio, una e-mail, un commento sul questionario di valutazione. Altri se ne accorgeranno dopo mesi, quando si troveranno a scegliere il loro percorso universitario o lavorativo e avranno un orizzonte un po’ più ampio di scelte. Altri ancora lo scopriranno all’università o in qualsiasi altro contesto quando capiranno di avere più strumenti nella loro cassetta degli attrezzi.